Il ruolo degli enti pubblici di ricerca nella formazione

logo lazio ideeNelle ultime settimane ci sono stati alcuni eventi che mi hanno fatto pensare al ruolo degli Enti Pubblici di Ricerca (EPR) nella formazione. Fra questi la presentazione dell’ottimo lavoro fatto, con i fondi regionali in Abruzzo, dal laboratorio nazionale del Gran Sasso dell’INFN e la consultazione pubblica della Regione Lazio che si e’ chiusa ieri (a cui ancora si può partecipare in forma elettronica fino a settembre sul sito http://www.lazioidee.it/).

Il Lazio è ai primi posti in Italia per spesa sostenuta in Ricerca e Sviluppo (R&S) con una consistente differenza fra spesa pubblica(1) e spesa delle imprese private(2). Benché negli ultimi anni la nostra regione abbia perso la posizione di leader a favore di Trento che ha triplicato la spesa delle imprese private negli ultimi due anni e del Piemonte che ci ha sempre inseguito, il Lazio rimane protagonista nella R&S. Probabilmente il divario fra spesa pubblica e privata dipende dalla grande ricchezza degli enti pubblici di ricerca ed università presenti sul nostro territorio. Inoltre il Lazio rimane la regione con il più alto numero di laureati in discipline tecnico-scienfiche evidenziando il suo ruolo fondamentale nella formazione scolastica ed accademica nel campo della R&S ed innovazione.

In questo contesto gli enti di ricerca giocano un ruolo fondamentale garantendo sicuramente la possibilità di alta formazione di qualità e di livello internazionale, ruolo che troppo spesso si esaurisce nel formare giovani ricercatori costretti ad espatriare all’estero o in altre regioni senza contribuire alle attività innovative del nostro territorio. Inoltre gli Enti ricerca hanno un bagaglio di competenze tecniche e gestionali eccellenti, che pongono i nostri ricercatori, laboratori e infrastrutture in importanti contesti internazionali con ruoli fondamentali che non sono valorizzati e sfruttati fino in fondo e che sicuramente non ritornano a pieno nelle attività di R&D della nostra regione.

Senza entrare nell’analisi critica del passato, bisognerebbe agire nel migliorare alcuni aspetti e cambiare il ruolo degli attori, pensando a qualche investimento a lungo termine e quindi strutturale nonché sostenibile:

  • I fondi per la collaborazione EPR-impresa non sono focalizzati su azioni premiali per entrambi gli attori. Gli EPR sono un pozzo dal quale attingere competenze diffuse, aperte ed in evoluzione, e non finalizzate come quelle che necessariamente sono proprie delle imprese che non si possono permettere di investire in settori non produttivi. La percentuale di successo di fare impresa a partire dai stretti legami con gli EPR ha mostrato forti limiti strutturali e di sistema probabilmente perché non si e’ valorizzato l’attuale patrimonio reale delle EPR italiane, ovvero le competenze, piuttosto che la loro capacità di ideare innovazione “produttiva”.
  • Le opportunità ed investimenti in formazione non valorizzano le competenze delle EPR. La formazione svolta dalle EPR funziona molto bene per l’alta formazione di ricercatori rivolti al proprio mondo, ottenendo risultati eccezionali e di livello internazionale, ma le EPR soffrono di non avere strumenti utili a contribuire alla formazione dei ricercatori che possano creare laboratori e infrastrutture di ricerca private, e che conoscano e sappiano collaborare in modo efficiente con il mondo della ricerca pubblica creando anche realtà transnazionali importanti nonché favorendo il ritorno di ricercatori.
  • Gli scarsi o nulli investimenti nella cultura scientifica non permettono uno sviluppo efficace e sostenibile. Il ruolo della ricerca pubblica deve essere anche quello di formare una cultura scientifica e un trasferimento delle conoscenze, che permetta una evoluzione strutturale nel nostro paese e ci permetta di essere al passo con le direttive europee che ripongono nella ricerca ed innovazione la sfida alla competitività mondiale e quindi la ricchezza dell’Europa per il suo futuro.
    Programmi di collaborazione EPR-scuola nel trasferimento delle conoscenze e nell’utilizzo dei propri laboratori per educare al lavoro (scuola-lavoro) potrebbero contribuire fortemente alla riduzione dell’abbandono scolastico e alla formazione di tecnici altamente qualificati.

La sostenibilità e quindi l’efficacia degli investimenti che si prospettano per il periodo 2014-2020 attraverso il fondo sociale europeo, dipende molto dalla capacità di usare al meglio le realtà e ricchezze del nostro territorio e avere una visione ampia in cui la conoscenza sia anche motore di competenze, sviluppo ed innovazione.

(1) 1.18% del pil italiano, al primo posto fra le regioni e ben sopra la media italiana ed europea
(2) 0.6% del pil italiano, comunque in linea con la media nazionale ma ben al di sotto della media europea. 

Informazioni su Giovanni Mazzitelli

Senior Researcher - field of interest high energy physics and particle accelerators; science communication and education; sail and alpinism lover
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2 risposte a Il ruolo degli enti pubblici di ricerca nella formazione

  1. Oretta ha detto:

    “educare al lavoro” è la parola chiave, infatti i ragazzi sono abilissimi in moltissime cose, per lo più ‘virtuali’, ma non sanno confrontarsi con il fare e con il piacere di saper fare: proprio questa è una grossa carenza del nostro sistema educativo, formale e informale….

  2. Pingback: Italia è paese efficiente nel creare innovazione, peccato che nessuno ci investa… | Giovanni Mazzitelli's Home Page

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