Tutti si preoccupano del rapporto fra dati personali e privacy. Capisco il problema ma francamente penso che sia mal posto.
Abbiamo l’idea, per le esperienze fin qui vissute, che dietro alla cessione dei nostri dati ci sia una forma di sorveglianza che ci possa non solo limitare nelle libertà ma anche condizionare nelle scelte. Temiamo infatti un grande fratello orwelliano, che ci sorvegli e che sappia tutto di noi, ad esempio di quale religione siamo, le abitudini sessuali ecc, ecc. In una società veramente libera, questo non dovrebbe essere affatto un problema: se fossi ateo, cristiano o mussulmano, così come se fossi gay, bisex o eterosessuale non dovrebbe fare alcuna differenza. Purtroppo ci sono ancora dei “pregiudizi” sociali al passo coi tempi in cui abbiamo privatizzato qualunque cosa, anche i nostri dati. I nostri pregiudizi li abbiamo curati con le semplificazioni del recente populismo che abbiamo recentemente vissuto, e tutte le nostre informazioni sono in mano a grandi multinazionali che grazie alla vendita di questi dati anno fatturati più alti del PIL tanti stati del mondo e condizionano fortemente i nostri comportamenti.
Francamente penso che se sei eterosessuale, ma pedofilo, o mussulmano, ma terrorista, non solo vorrei che venissi sorvegliato ma anche limitato rapidamente delle tue libertà d’azione. Allo stesso modo vorrei che i miei interessi e le mie capacità, “spiate” da un grande fratello, potessero essere valorizzate e magari usate per il progresso sociale e l’abbattimento delle disuguaglianze. C’è quindi un problema di obiettivo e un altro di metodo. L’obiettivo dovrebbe essere guidato dall’etica di una società libera, capace di valorizzazione del capitale sociale prima che economico. Il metodo invece dovrebbe prevedere un forte controllo delle informazioni da parte della società e quindi dello Stato che ne è sua la massima espressione.
Questo sicuramente ricorda il socialismo reale, che francamente ho sempre ritenuto essere l’utopico traguardo di una società perfetta, in cui uno stato, realmente espressione della sua società, è capace di assicurare a tutti libertà e uguaglianza. Utopia che la corruzione culturale ed economica del neoliberismo e del patto socialdemocratico hanno anniento.
Come molti dicono e scrivono, il COVID-19 ci sta facendo riflettere sul nostro modello sociale che abbiamo seguito fin ora. Globalizzato ma non internazionalizzato, statalizzato ma non federalizzato, che ha confuso la libertà di una società con la libertà del singolo, che ha garantito privilegi a pochi a scapito del benessere di molti. In questo ripensamento collettivo, chiusi nelle nostre case, pensando a quello che probabilmente stiamo per perdere, dovremmo essere capaci di ripensare a attualizzare veramente quello di cui non abbiamo saputo cogliere l’opportunità. Ma, la risposta c’è già e Orwell l’aveva capita.
Scripta manent verba volant
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