Il mese scorso sono stato invitato dalla CNA area Sud per un intervento alla loro assemblea annuale. Dato il tardo pomeriggio e l’esser tornato un paio di giorni prima dalla Cina, ho fatto un sonnolento intervento, che non mi ha soddisfatto. Ma quei concetti che volevo esprimere mi sono rimasti in testa, come un tarlo…
Ci sono una infinità di cose da criticare nel rapporto tra il mondo accademico e le imprese, e in particolare su come viene portato avanti il Travestimento Tecnologico (TT). Le menti del nostro paese, molti ricercatori e soprattutto gli uffici preposti al TT nelle istituzioni di ricerca ritengono che si debba trasformare il sapere prodotto in denaro. Penso che questa sia una follia per tanti motivi. Io sono un ricercatore pagato dallo stato per produrre sapere, scoprire nuove cose e trovare soluzioni. Inoltre, nel fare questo lavoro posseggo e sviluppo conoscenza, potenzialmente utilissima per la società. Perché il mio ente o ancora peggio io stesso dovremmo prendere dei soldi per quello che scopriamo o ideiamo? La scienza, come gli scienziati, dovrebbero essere open e patrimonio di tutti. Gli uffici di TT dovrebbero semplicemente fare in modo che questa apertura accada. Purtroppo viviamo in un mondo di mercificazione e la scienza non è da meno, da tempo sono stati creati criteri di valutazione che spingono, enti università e ricercatori a piegarsi a questa mercificazione del sapere. Un modello di stile americano peraltro dimostratosi altamente inefficiente, ma che probabilmente permette a ai governi di non investire più in ricerca e sviluppo (R&S) dilagando al mercato anche il sapere e la cultura di una nazione.
Ma, insieme al mondo accademico e di ricerca pubblica ci sono le imprese. E qui si casca dalla padella nella brace. Basta aprire un giornale degli ultimi dieci anni per sentirci raccontare tutte le belle storie sul made in Italy e quanto siamo bravi, ma anche quanto siamo poco competitivi, date le dimensioni delle nostre imprese e delle leggi europei, ecc, ecc. Il problema però, e in particolare nel TT, a me pare sia anche un’altro. In anni di lavoro con grandi e piccole imprese mi sono trovato in grandissima difficoltà. Infatti, le grandi imprese non hanno alcun interesse ad innovare e ad innovarsi, aspettano bandi o finanziamenti pubblici per fare progetti che con grande probabilità non si attueranno mai, riempiendosene la bocca e dilapidando fondi pubblici erogati con logica assistenzialista. Ha fatto effetto l’intervento del presidente della commissione attività produttive della Regione Lazio nel quale si è auto denunciato, dichiarando di aver fallito nell’obiettivo di accrescere lo sviluppo economico della nostra regione perché ormai la burocrazia non lascia spazio all’operatività. Dall’altra le PMI italiane, bloccate dal credito, senza le grandi imprese che le posizionano sul mercato, difficilmente possono creare ecosistemi produttivi dove la R&S possa far nascere innovazione e imprese competitive. Gli ecosistemi della Silicon Valley, di Eindhoven, ecc, ecc, ma anche della stessa Olivetti, del petrolchimico, e così via nei tempi andati, hanno funzionato perché le grandi imprese sono state da vettore per le PMI e la R&S ha trovato terreno fertile per dare il idee innovative. Questo nel nostro paese non esiste, o meglio non esiste più, e quindi siamo costretti a fare i conti con un sistema bloccato e che si racconta storie su come uscirne.
Tutto ciò ti fa rabbia quando vedi tanti imprenditori, giovani, talentuosi e agguerriti, come quelli presenti nella assemblea della CNA che si aspettano qualcosa di dirompente dal mondo della ricerca, quando forse l’unica cosa che servirebbe nel nostro paese sono delle politiche meno assistenzialiste e grandi imprese degne di questo nome.
disegno di Sara Serravalle di Open Hub
ringrazio Valerio Galeotti per l’invito.